Dino Gassani, storia di una morte annunciata
Dino Gassani fu assassinato a soli 51 anni la sera del 27 marzo 1981 nel suo centralissimo studio di Salerno insieme al suo fedelissimo segretario Pino Grimaldi (ex agente di PS).
La morte del penalista e del suo segretario, che determinò sdegno e terrore in tutto il Paese, fu ordinata da Raffaele Catapano (detto il boia delle carceri) e dagli esecutori materiali Mario Cuomo e Antonio Schirato.
Cuomo perì qualche anno dopo in un attentato dinamitardo, mentre per Catapano e Schirato c’è stata la sentenza definitiva di condanna all’ergastolo, confermata dalla Suprema Corte di Cassazione.
Le indagini per risalire ai colpevoli di questo vile agguato furono immediatamente orientate alla NCO (Nuova Camorra Organizzata) di Raffaele Cutolo che negli anni ‘80 si macchiò di orrendi omicidi nei confronti di vari avvocati, agenti delle forze dell’ordine, giornalisti, uomini di chiesa, politici, imprenditori. Fu una autentica mattanza che dimostrò che la camorra dell’epoca, ormai, aveva alzato il tiro e che gran parte degli omicidi – molte volte plateali – non era più da attribuire ai classici regolamenti di conti tra organizzazioni o bande rivali, quanto al programma di eliminare qualsiasi ostacolo scomodo che potesse intralciare vari progetti criminali, nel quadro del controllo di tutto il territorio campano e delle regioni limitrofe.
Le sentenze, che sono pubblicate sul sito www.dinogassani.it, pervennero alla penale responsabilità dei tre imputati attraverso le perizie grafologiche, le testimonianze, le impronte digitali e grazie a tutti gli elementi che insieme contribuirono ad individuare il chiaro movente, il mandante e gli esecutori materiali del duplice omicidio.
Dino Gassani nel ’78, infatti, aveva assunto la difesa di Biagio Garzione. Costui era stato il telefonista dell’anonima sequestri che organizzò i rapimenti dei due imprenditori napoletani, Ambrosio e Amabile.All’epoca dei fatti non era stata ancora varata la legge a tutela dei collaboratori di giustizia, tuttavia il codice penale già prevedeva forti sconti di pena in favore di chi collaborava con la giustizia. Fu così che Dino Gassani convinse, come suo dovere, il Garzione a rivelare nel processo i nomi della anonima sequestri, tra cui spiccava quello di Raffaele Catapano, all’epoca uno degli uomini di fiducia di Raffaele Cutolo, noto per la sua spietatezza.
Grazie a tali dichiarazioni, una parte della NCO fu messa in ginocchio attraverso numerosi arresti e procedimenti penali che ne scaturirono.
A Dino Gassani la camorra, a quel punto, rivolse varie minacce di morte per più di due anni al fine di indurlo a far ritrattare le dichiarazioni di Garzione e scagionare la banda dei rapitori. Il penalista, tuttavia, non si piegò a tali minacce, come egli stesso dichiarò a più riprese ad amici e parenti prima di essere assassinato.
Le carte processuali evidenziano il disumano coraggio di Dino Gassani, il quale scelse consapevolmente di mettere in gioco la propria vita.
Nel 1979 in udienza ad Avellino, durante il processo all’anonima sequestri, Catapano urlò davanti a tutti: ”Garzione è l’attore e l’avvocato Gassani è il regista”.
Questa frase suonò come una vera e propria condanna a morte nei confronti di Dino Gassani.
Seguirono dopo quell’episodio incessanti minacce verbali, lettere anonime, avvertimenti di ogni tipo provenienti dai detenuti delle varie carceri italiane.
Ciò nonostante, Dino Gassani non tradì il proprio mandato. Si può affermare che nessun delitto eccellente di quel periodo storico è stato così chiaro e documentato sul piano del movente.
E mentre alcuni colleghi di quel terribile processo si defilarono, uno alla volta, perché intimiditi da un clima assurdo e surreale, Dino Gassani non abbandonò il proprio cliente.
Quando la Polizia si precipitò sul luogo del delitto rinvenne sulla scrivania del penalista un foglietto su cui era scritto di proprio pugno dal penalista : “Non posso perdere ogni dignità”. Accanto a tale foglietto fu rinvenuta l’ennesima lettera anonima di minaccia ( di cui dopo si venne a sapere il vero autore).
Il 27 marzo 1981 i due sicari avevano chiesto e ottenuto un appuntamento con il penalista spacciandosi per nuovi clienti e fornendo generalità false. I killer, una volta giunti nello studio di Dino Gassani, dichiararono di essere stati mandati dal Catapano e minacciarono il penalista di morte se quest’ultimo non avesse convinto il Garzione a ritrattare le accuse alla NCO.
Dino Gassani reagì. Prima scrisse su un foglietto: ”Se sono matto li butto fuori” e poi quello sublime “Non posso perdere ogni dignità”. E’ tutto agli atti.
La scoperta della tragedia avvenne attraverso il figlio Luigi, all’epoca poco più che quindicenne. Uno shock tremendo e devastante.
Questo è il vero e nobile testamento morale di Dino Gassani a tutto il mondo forense e a tutta la parte sana dell’Italia. Nel processo a carico degli assassini del penalista la frase “Non posso perdere ogni dignità” fu più volte richiamata. Anche gli stessi magistrati si emozionarono quando emerse il consapevole sacrificio di Dino Gassani che, se avesse voluto, si sarebbe potuto salvare, anche semplicemente abbandonando la difesa del proprio assistito.
Fu la lucida consapevolezza di Dino Gassani del pericolo che i giudici hanno voluto rimarcare con ammirazione e devozione, così come ha fatto il Capo dello Stato in occasione del riconoscimento della medaglia d’oro al valor civile : “Con eroico coraggio e grande etica professionale, non si piegava alle pressioni della malavita organizzata affinché abbandonasse la difesa di un imputato appartenente ad una banda di sequestratori, il quale aveva collaborato con la giustizia e consentito l’individuazione degli altri componenti dell’organizzazione criminale. A seguito di un proditorio agguato cadeva vittima innocente della camorra, sacrificando la vita ai più nobili ideali di dignità morale e di legalità”.
Questo efferato delitto dimostra che, in definitiva, si può essere eroi involontari semplicemente nell’adempimento di un dovere senza conoscere l’imminente pericolo, mentre si può essere addirittura eroi consapevoli e volontari fino all’inverosimile come fu Dino Gassani.
Ecco spiegata la medaglia d’oro al valore civile sia per il penalista che per il suo fido segretario Pino Grimaldi.
La famiglia Gassani ha sempre affrontato il dolore di questa immane tragedia in silenzio, con dignità e con discrezione, rifiutando interviste televisive nazionali, commemorazioni pubbliche, fiaccolate e la realizzazione di una fiction sulla vita e morte di Gassani o la scrittura di biografie da parte di noti giornalisti.
Tuttavia, a distanza di tanti anni, oggi è doveroso uscire allo scoperto per consegnare ai posteri la memoria di un Avvocato come Dino Gassani.
Nel marzo 1997 il figlio Gian Ettore Gassani, oggi avvocato matrimonialista del Foro di Roma, scrisse un piccolo libro in omaggio al padre dal titolo
“Dietro un uomo, storia di un penalista”, che potrete leggere e scaricare dal sito www.dinogassani.it.
L’unica consolazione per la famiglia Gassani – davanti a tale tragedia – è stata la giustizia e il rispetto ricevuto da parte del mondo forense.
L’aver scoperto quasi subito mandante, movente ed esecutori materiali è stato l’unico sollievo in un mare di dolore e di sconforto.
Non tutti gli omicidi eccellenti trovano risposte di verità nel processo. E quando ciò non accade resta sempre un alone di mistero e di sospetto anche contro la stessa vittima, accentuando lo smarrimento e l’angoscia dei familiari.
Nel caso di Dino Gassani emerge l’animo di un vero eroe dell’avvocatura italiana di cui tutto il mondo forense, oggi sempre più disunito e bistrattato, deve andare fiero perché questo grande penalista rappresenta, come tanti altri, un riscatto e un vanto dell’avvocatura e della stessa società civile, sempre più bisognosa di esempi di grande significato morale.
Dino Gassani lasciò la sera della sua morte la moglie Luisa Fiori, i figli Gian Ettore e Luigi, oggi due noti avvocati che ne hanno seguito l’esempio, nonostante le moltissime difficoltà.
Molto presto sarà costituita una fondazione in onore del penalista ucciso affinché non venga disperso il suo grande messaggio di coraggio e fedeltà alla toga.
Roma, maggio 2018